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Σάββατο 18 Αυγούστου 2018

OMELIA SULLA TRASFIGURAZIONE DI SAN GREGORIO PALAMAS (+1359)

OMELIA SULLA TRASFIGURAZIONE
DI SAN GREGORIO PALAMAS (+1359) 

Ed ecco cosa non hanno compreso i bestemmiatori del nostro tempo, che credono che gli Apostoli eletti hanno visto la luce della Trasfigurazione del Signore soltanto per mezzo della potenza creata dei sensi; in questo modo riducono a cosa creata non solo quella luce, cioè la gloria e il regno di Dio, ma anche la potenza dello Spirito divino, per mezzo della quale sono stati svelati i misteri divini a coloro che ne sono degni. Non hanno ascoltato Paolo, o non gli hanno creduto quando dice: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scritta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Ma una volta sopraggiunto l’ottavo giorno, come sta scritto, il Signore, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Faceva così ogni volta che voleva pregare da solo, si allontanava da tutti, anche dagli Apostoli, come il giorno in cui saziò, con cinque pani e due pesci, cinquemila uomini senza contare donne e bambini; subito dopo egli li congedò tutti, ma ai discepoli chiese di salire sulle barche. Egli, però, solo, salì sul monte a pregare . Oppure quando sceglieva alcuni di loro perché andassero con lui, quelli che lui preferiva. All’avvicinarsi della sua passione salvifica, egli disse agli altri discepoli: Sedetevi qui, mentre io prego. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Avendo dunque con sé questi soli, li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a lorom, cioè sotto i loro occhi. Che cosa significa fu trasfigurato?, domanda Crisostomo, il Teologo [1]. Significa che egli sollevò, per un po’, come gli parve bene, il velo della sua divinità, e ai suoi iniziati mostrò il Dio che dimorava in lui. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto, dice Luca; brillò come il sole, scrive Matteo.

            Egli dice: come il sole, non perché si pensasse che quella luce fosse sensibile – non siamo così ciechi spiritualmente come quelli che non sono capaci di pensare niente di più alto di ciò che proviene dai sensi! – ma al contrario perché comprendessimo questo: ciò che è il sole per coloro che vivono secondo i sensi e che solo attraverso i sensi vedono, il Cristo lo è in quanto Dio per coloro che vivono secondo lo Spirito e nello Spirito. E non c’è bisogno, per coloro che sono simili a Dio, di un’altra luce nella visione divina. «Agli esseri eterni, non infonde nient’altro che la sua luce»[2]. Quale sarebbe infatti l’utilità di una seconda luce per coloro che possiedono la luce più grande? Ora, mentre egli pregava, risplendeva e ineffabilmente rivelava ai discepoli eletti quella luce ineffabile e i più grandi Profeti erano con lui. Egli ci voleva mostrare che è la preghiera a procurare quella beata visione, e voleva che noi sapessimo che è mediante la vicinanza con Dio nella virtù, tramite l’unione con lui nello spirito, che quello splendore si produce e si manifesta, si offre a tutti ed è visto da tutti coloro che incessantemente tendono a Dio, assidui a compiere opere buone e la preghiera pura[3]. È detto: «La bellezza vera, la meta più alta del desiderio, quella bellezza che abbraccia la natura divina e beata, può essere contemplata soltanto da colui che, con mente purificata, fissa lo sguardo nei suoi bagliori e nelle sue grazie, ne partecipa in certa misura, come se una fioritura di luce avesse dato nuovo colore al suo sguardo»[4]. Ecco perché Mosè, mentre conversava con Dio, ebbe il volto trasfiguratop. Vedete come anche Mosè fu trasfigurato dopo che fu salito sul monte, e contemplò la gloria del Signore? Però egli subì la trasfigurazione, non la operò. Come è stato detto: «A questo mi spinge lo splendore misurato della verità di cui godo su questa terra, cioè a vedere e a subire lo splendore di Dio»[5]. Ma nostro Signore Gesù Cristo, lui, traeva quello splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che indicare l’origine, per i santi, di quello splendore di Dio e il modo come l’avrebbe visto. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loroq, e così, diventati interamente luce divina, e come germogli della luce divina, vedranno Cristo risplendere in modo ineffabile e divino. La sua gloria, sorgendo dalla sua stessa divinità, in modo conforme alla sua natura[6], sul Tabor si mostrò appartenere anche al suo corpo, secondo l’unione ipostatica[7]. Così è per via dell’effusione di tale luce che il suo volto brillò come il sole. Ora, coloro che in mezzo a noi si vantano di possedere la razionalità dei greci e la sapienza di questo mondo, e che non obbediscono agli uomini spirituali che si appoggiano sulle parole dello Spirito, quando sentono parlare della luce della trasfigurazione del Signore sul monte, di quella luce cioè che fu vista dagli occhi degli apostoli, essi la riducono subito al livello di una realtà sensibile e creata, e disprezzano la luce immateriale, senza tramonto, eterna, quella che supera non solo i sensi, ma anche l’intelletto. Essi si trascinano quaggiù e sono incapaci di concepire qualcosa che non appartenga alle cose di quaggiù. Eppure colui che di questa luce brillò aveva mostrato che era luce increata, chiamandola regno di Dio. Sì, il regno di Dio non dipende da niente e non è creato; unico fra tutti i regni è libero e invincibile, è posto al di là del tempo e dei secoli. «Non è infatti lecito dire che il regno di Dio abbia avuto inizio o si manifesti con i secoli o i tempi. Noi crediamo che esso sia eredità»[8], l’eredità dei salvati.

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NOTE 

[1] Il Teologo è Giovanni l’evangelista o Gregorio di Nazianzo. Qui è applicato a Giovanni Crisostomo per via dell’importanza che questo autore ha nella tradizione delle omelie sulla Trasfigurazione. L’Omelia 56 di Giovanni Crisostomo (sul Vangelo di Matteo) è un testo del 390. È considerata l’omelia più antica sulla Trasfigurazione che ci sia pervenuta.

[2] Gregorio di Nazianzo, Orazione 44, 3, in Tutte le orazioni, 1125.

[3] Mentre si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene una trasfigurazione dei discepoli: «Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano, trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore» (Maximos V Hakim, Patriarche d’Antioche et de tout l’Orient, d’Alexandrie et de Jérusalem, Préface in G. Habra, La Trasfiguration selon les Pères, Paris 1973, 7).

[4] Basilio di Cesarea, Omelia sul salmo 29, 5 (PG 29, 317B).

[5] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38, 8, in Tutte le orazioni, 891. Il brano citato dice: «Il misurato splendore della verità di cui godo su questa terra mi spinge, infatti, a vedere e a sentire lo splendore di Dio, splendore che è degno di Colui che ci ha messi insieme e poi ci dissolverà per ricostruirci insieme una seconda volta in una condizione più elevata».

[6] La sua natura divina manifesta la sua gloria naturalmente.

[7] «Tu sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità: tale ipostasi nelle sue due nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor». Minèi del 6 agosto, festa della Trasfigurazione nell’ufficio bizantino, in Anthologhion, IV, 865.

[8] Massimo il Confessore, Duecento capitoli, Centuria II, 86, in Filocalia, II, 160.

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