~ Tοιχογραφία που απεικονίζει την Σύνοδο της Κωνσταντινουπόλεως του 1341, κατά Βαρλαάμ του Καλαβρού. Βρίσκεται στην Ορθόδοξη Ιερά Μονή Αγ. Ηλιού και Φιλαρέτου, στην γενέτειρα του Βαρλαάμ, Σεμινάρα της Καλαβρίας.
Il tema dell’Ortodossia caratterizza anche questa seconda Domenica della Grande Quaresima, infatti la Chiesa Ortodossa in questo giorno commemora san Gregorio Palamas (1296-1359), monaco e vescovo di Tessalonica, che nel 1368 divenne emblema della lotta della spiritualita esicastica ortodossa contro la teologia scolastica dell'occidente. Cresciuto nella corte imperiale di Costantinopoli dove ricevette una formazione sia filosofica che religiosa, decise di farsi monaco e col tempo divenne il principale difensore dell’esicasmo, una particolare forma di ascesi praticata nei monasteri del Monte Athos. I monaci esicasti, ovvero coloro che praticavano questo metodo di preghiera personale (vedi Mt6,6) con l’ausilio di tecniche di concentrazione psicosomatiche, consideravano possibile contemplare in se stessi la luce increata di Dio.
Questi monaci nel XIV secolo si scontrarono con Barlaam di Seminara, detto anche il Calabro, un monaco assai colto in filosofia e teologia apofatica, che, verso il 1330, si era stabilito a Costantinopoli. Per Barlaam la pratica esicasta era motivo di scandalo e considerava le tesi a sostegno di essa «dottrine assurde [...] prodotti di una fallace credenza e di un'immaginazione sconsiderata» (Lettera V a Ignazio). Accusò i monaci che la praticavano di essere eretici messaliani e li derise per la loro postura assunta durante la preghiera.
Ma la questione che si stava dibattendo tra i monaci e Barlaam, in realtà, era assai più profonda e non riguardava solamente il metodo di preghiera esicasta, ma la stessa Teologia, poiché le posizioni assunte da Barlaam intaccavano la reale possibilità della conoscibilità di Dio da parte degli uomini e la loro divinizzazione. Barlaam, infatti, cresciuto in Calabria ed influenzato dalla teologia scolastica occidentale affermava che la grazia apparteneva all’ordine della creazione, e in questa vita, l'unione che per mezzo di essa si realizzava con Dio era più simbolica che reale.
San Gregorio, chiamato a difesa dei monaci, dimostrò che la pratica esicasta apparteneva alla tradizione monastica ortodossa, e per difendere la possibilità della contemplazione della luce divina increata (che lui chiama anche grazia), fece riferimento alla Tradizione dei santi Padri e al passo del vangelo di Matteo (Mt 17,1-9), dove si racconta l’episodio della Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor; secondo san Gregorio, infatti, in quella occasione Pietro Giacomo e Giovanni videro il Signore che “fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” - ossia - videro la luce divina increata manifestarsi nel Signore. Se la videro gli Apostoli significa che, potenzialmente, ogni cristiano può pervenire alla medesima luce e quindi ogni uomo, con l’aiuto della pratica esicasta, senza alcun automatismo, ma per dono divino, può vedere la luce divina increata manifestarsi in lui.
I Padri ortodossi infatti considerano la divinizzazione (théòsis), ovvero la partecipazione alla vita divina, il fine ultimo della vita umana, e la divinizzazione avviene solamente se l’uomo in questa vita può entrare in comunione diretta e non simbolica con Dio stesso, che, come dice la Scrittura, va ad abitare in lui (Gv 14,23). Ma se l'unione con Dio, come sosteneva Barlaam, era più simbolica che reale la divinizzazione era impossibile.
San Gregorio per garantire la divinizzazione e allo stesso tempo la trascendenza di Dio introdusse una distinzione tra l’essenza divina (ousìa) e le operazioni (enérgeia) compiute da essa. Dio nella sua essenza resta inconoscibile e trascendente il creato, ma per le sue energie, o grazia, ha il potere di divenire immanente, visibile e sperimentabile a vario modo da tutte le creature.
Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un Concilio generale nel 1341 alla fine del quale Barlaam venne costretto a sospendere ogni futuro attacco verso l'esicasmo.
Per questa distinzione che salvaguarda la semplicità di Dio, la sua presenza nel creato e in modo particolare nella vita dell'uomo e allo stesso tempo ne garantisce la sua alterità, e per la difesa dei monaci esicasti, fu canonizzato e assunto come emblema della retta fede della Chiesa Ortodossa. Il patriarca Filoteo nel 1368 realizzò per lui un servizio liturgico completo e, sebbene il Santo morì il 14 di novembre, si stabilì che la sua memoria fosse celebrata nella seconda domenica dei digiuni della Grande Quaresima.
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