~ Λειψανοθήκη της κάρας του Οσίου Φιλαρέτου του Κηπουρού. (1717).
"Il Grande Filareto, riteneva opportuno ammonire con le sue soavi esortazioni e con i suoi divini insegnamenti anche coloro che vivevano nel mondo: li esortava ad essere prudenti, a non essere invidiosi e a praticare la madre di tutte le virtù, l’elemosina. Ma soprattutto, ammoniva tutti perché venerassero un solo Dio in tre ipostasi, ognuna con caratteristiche proprie; invitava altresì ad attenersi alle definizioni dei Padri divini e a non fare alcuna innovazione in materia di fede".
È una netta condanna dell’eresia trinitaria professata dai Latini. Se poi queste non sono parole di san Filarete, ma dall’Agiografo, sono ancora più interessanti, in quanto testimonianza più tarda (13° secolo?) dell’opinione che si aveva in Italia Meridionale sul Filioque.
Tutti i monasteri, ortodossi, dell’Italia Meridionale – tutti, nessuno escluso – furono assegnati in dono o a vescovi latini insediati dai Normanni oppure a conventi realizzati facendo affluire, in tutta fretta, religiosi Benedettini dal Nord Europa. Nel 1062, vivente san Filarete, il Monastero di Sant’Elia il Nuovo venne assegnato in proprietà a un’abbazia benedettina di fresco aperta a Sant’Eufemia (Lamezia –VV) e poi, nel 1133, ceduto al vescovo cattolico di Messina. Apparentemente, Sant’Elia fu aggregato al Monastero greco del Salvatore di Messina che, però, era “feudo” del vescovo latino della città.. Nel giro di pochi anni, migliaia di monaci ortodossi diventarono – direttamente o indirettamente – coloni, servi, delle nuove istituzioni latine (vale a dire: cattoliche) create in Italia Meridionale dagli invasori Normanni.
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